Sabato 5 aprile 2025 il Teatro di Moncalvo ha ospitato “Rette Parallele”, uno spettacolo che parla di Fibrosi Cistica e donazione organi.
Sono andate in scena storie di persone che sono affette da questa malattia genetica rara (la Fibrosi Cistica) e storie di persone che hanno ricevuto il dono di un trapianto che ha permesso loro di avere una seconda occasione.
Lo spettacolo scritto da Sara Cornelio e dal regista Samuele Carcagnolo vuole essere uno sguardo senza filtri sulle sfide quotidiane imposte dalla malattia; ma tocca anche temi universali come l’amore e soprattutto la rinascita, per chi ha ricevuto in dono un trapianto d’organo, concreta possibilità di cura e di nuova vita.
Purtroppo Sara Cornelio ci ha lasciati nel 2022 a soli 23 anni; ma nel corso della sua breve esistenza ha vissuto la sua vita cogliendone il senso profondo della bellezza e della ricchezza. Ha conosciuto la paura e la difficoltà e le ha trasformare in una lezione di gioia e amore che ha cambiato oltre alla sua vita, quella delle persone che l’hanno conosciuta e di coloro che tutt’oggi la scoprono attraverso le sue opere e scritti. Aveva tanti sogni e progetti che continuano a vivere e a fiorire nel suo ricordo e nel suo esempio.
Lo spettacolo, emozionante e toccante, è stata un’occasione per celebrare la vita, la nostra umanità, l’amore e la solidarietà che lega tutte le persone, indistintamente, anche se spesso ce ne dimentichiamo.
Per noi, quelli della seconda occasione, è stato come rivivere le paure, i dubbi, le lotte, i sensi di colpa e inadeguatezza che scaturiscono dalla nostra malattia. Ma è stata anche l’occasione per celebrare la rinascita dopo il dono, la gioia, la gratitudine infinita verso il nostro donatore e la volontà di affrontare nuovamente la vita.
Sostenete la ricerca, dite “SI” alla donazione organi, diffondete la cultura del dono, la gentilezza, la luce, la speranza, la vita.
E’ molto che non scrivo sul blog. Ho altresì ridotto di molto la presenza sui social. Forse è solo un periodo, o forse è che incomincio davvero a pensare che la nostra presenza in rete, il nostro continuo far sapere agli altri quello che pensiamo, quello che facciamo, quello che diciamo non è che una forma mascherata di affermazione personale. E questo inizia a spaventarmi.
Mi spaventa questo desiderio di pensare a se stessi come qualcosa di importante per gli altri, indistintamente. Questa tentazione di utilizzare tutta la nostra “forza” (come direbbe Simone Weil) per esercitare un dominio, per quanto illusorio sia.
Sono questi i pensieri, confusi, frammentari, contrastanti, che in questi ultimi tempi mi si presentano sempre più spesso. Pensieri che hanno trovato una forma, una logica in questo post di Massimo Mantellini.
Leggo quello che Massimo scrive da quando sono su internet e se in qualche modo sono qui con un blog è anche a causa sua.
Mai come adesso mi sono ritrovato in quello che ha scritto.
Partirei da qui. Dal fatto che noi siamo persone che hanno necessità di relazioni con gli altri. Per realizzarsi pienamente come uomini/donne. Per essere parte dell’umanità. e queste relazioni con gli altri non possono basarsi sulla forza; perché la forza corrompe e isola (direbbe S.W.).
Occorrono relazioni di reciprocità; ma anche qui non nel senso del do ut des perché si ricadrebbe (secondo me) nell’uso della forza; perché chi di noi rinuncia volontariamente ad esercitare tutta la propria forza (di qualunque natura sia) nei confronti degli altri?
Credo che l’unico modo di essere delle nostre relazioni con gli altri sia quello dell’ascolto e del dono; nel riconoscere nell’altro una parte di me (anche brutta e feroce) e sforzarsi di vedere (nonostante tutto) un altro essere umano.
Perché forse la differenza è in fondo tutta qui: chi scommette comunque sull’umanità delle persone e sulle loro capacità di essere tali; e su chi invece pensa che in fondo non c’è redenzione per gli altri.
Quest’anno a Moncalvo è tempo di elezioni amministrative. Sottotraccia sia l’attuale maggioranza, sia gli esponenti della minoranza, sono al lavoro per presentarsi all’appuntamento. In paese inizia a trapelare quell’eccitazione più da tifosi che da cittadini; atteggiamento che purtroppo ha caratterizzato gli ultimi anni della politica moncalvese.
Siamo divisi, pesantemente divisi, drammaticamente divisi. E questa divisione non è limitata ad una normale divergenza di opinioni (che potrebbe anche starci). E’ profonda, intacca il nostro senso di essere comunità. La comunità non sono tutte le persone del mio paese; è stata distorta nell’insieme delle persone che la pensano come me, nei miei amici, nelle persone che seguo o che mi seguono. Una sorta di social network al contrario, dove l’idea (buona) che è alla base della rete internet (la condivisione, lo scambio, la conoscenza diffusa), si manifesta nel suo opposto.
Avete presente la famosa frase detta durante la pandemia? “Ne usciremo migliori”. Ebbene se nel mondo questo auspicio non si è realizzato (ed è sotto gli occhi di tutti), nemmeno a Moncalvo, checché altri lo pensino, siamo migliori. Qualche esempio?
I giovani usati solo come camerieri; mai protagonisti di qualcosa pensato e progettato da loro. Abbandonati a loro stessi, qualcuno si preoccupa che si sentano parte di una comunità? Li ascolta? Si appassiona ai loro sogni? Gli permette di provare, sperimentare, anche sbagliare?
La stessa opportunità della posa della NGN (next generation network) è stata vissuta più come una seccatura dei tempi che come un’opportunità da cogliere per superare (finalmente) il nostro digital divide culturale. A questo proposito, se pensiamo che la pagina internet più frequentata di Moncalvo è probabilmente quella del gruppo facebook “Sei di Moncalvo se“, ci si rende conto della pochezza della cultura digitale che abbiamo. Non voglio assolutamente sminuire il lavoro di chi ha pensato e continua ad occuparsene; ma se all’inizio avevo accolto con favore “Sei di Moncalvo se”; adesso ne scorgo i limiti e l’incapacità di pensare altro che non sia chiacchiericcio, polemiche, notizie di riporto e pubblicità.
Il grande dono della famiglia Piacenza abbandonato a sé stesso dalla nostra incapacità di pensare come comunità. Eppure io mi ricordo quando qualcuno favoleggiava. Poi si è passati alle ripicche, per finire adesso in un lento oblio. Un’occasione sprecata che grida ancora vendetta per le nostre incapacità.
Metto subito le mani avanti e manifesto il mio pensiero prima “delle varie discese in campo”. Qui è necessario, per chiunque si metta in gioco alle prossime elezioni, capire che davvero o risorgiamo, adesso, tutti insieme, come comunità o è finita. Senza uno sforzo comune di idee e impegno, io non credo che Moncalvo sopravviverà. Ormai è anni che siamo sotto la sogli critica dei 3000 abitanti e continuiamo a scendere; non abbiamo più “grosse” realtà produttive nel nostro territorio (Fassa è un’eccezione), i commercianti sono anni che si lamentano che fanno fatica, le aziende agricole non sono valorizzate e i giovani disdegnano la campagna. Fatemi qualche esempio di giovani moncalvesi che abbiano avviato una nuova attività in paese, o che siano rimasti qui, o che si sono trasferiti qui.
Certo, valorizziamo la cultura, abbiamo recuperato parte dei vecchi camminamenti del castello, abbiamo il museo, il teatro, le chiese, i quadri. Tutto bellissimo, ma io credo che in qualche modo questa sia cultura di nicchia, slegata dalla vita dei moncalvesi e li lascia come l’acqua che scorre sul marmo: non intacca la loro vita. E una cultura che non incide sulla società civile è semplicemente una cultura autoreferenziale che non serve a nulla.
Voi direte: però abbiamo il turismo, le fiere, quest’anno è stato un grande anno da questo punto di vista. Ma quanti di voi, seriamente, pensano che Moncalvo possa solo vivere di turismo? La cifra del nostro essere comunità è il turismo? Seriamente? Ditemi quale iniziativa turistica innovativa c’è stata in questi ultimi 10 anni. Qualcosa di veramente nuovo, messo in campo da un moncalvese. A me non viene in mente nulla.
Penso che davvero siamo all’anno zero. Il futuro dipenderà da quanto riusciremo ad essere comunità. Dalla capacità di affrontare insieme le sfide che ci attendono.
Mi auguro che questa idea sia alla base di quanti si vorranno impegnare nella vita politica della nostra città.
Questo primo post del 2023 è per tranquillizzare i miei affezionati (ancora?) 5 lettori che non ho abbandonato il blog.
E’ un periodo un poco difficile anche per me; ma non intendo annoiarvi con parole tristi. Guardiamo a questo nuovo anno con fiducia e speranza.
Riscopriamo la nostra umanità cercando di mantenere (ricostruire) quelle reti di relazioni, affetti, amicizie che danno significato alla nostra vita, al nostro essere umani. Perché quando si allargano le braccia, i muri cadono. Accoglienza vuol dire costruire dei ponti e non dei muri.
Che davvero questo nuovo anno ci permetta di realizzare i nostri sogni.
Quest’anno è stata una vacanza di mare per festeggiare alcune ricorrenze importanti.
Ci siamo concessi qualche giorno nelle bellissime Marche; ospiti della bellissima struttura di Ilaria: Ortopi Country Canapa House.
Una breve vacanza che non dimenticheremo per la bellezza del mare, delle città, per l’ospitalità delle persone; per le mille attenzioni che Ilaria ci ha dato e che hanno reso speciali i nostri giorni nelle Marche.
E’ stato detto: “L’ospitalità è il modo in cui usciamo da noi stessi, è il primo passo verso l’abbattimento delle barriere del mondo. L’ospitalità è il modo in cui trasformiamo un mondo pieno di pregiudizi, un cuore alla volta.”
Noi lo abbiamo provato da Ortopi e nella Riviera del Conero.
Da ragazzo ho imparato ad amare la montagna facendo campi-scuola in questa casa dei Salesiani. Estati passati a giocare nel grande parco, in giro per Gressoney, in passeggiata verso il Colle Pinter e i suoi laghi, o verso il Passo di Valnera.
Le serate nel grande salone con i giochi che non finivano mai alle 22:30 e che cercavamo di prolungare almeno fino alle 23. Le missioni notturne verso la cucina e le spaghettate abusive delle due di notte.
Giornate di sorrisi, amicizie, incontri, circondati dalla bellezza del Monte Rosa che ci guardava benevolmente come quei sette ragazzi di Gressoney che lo scalarono per cercare la mitica valle incantata, terra di origine dei Walser.
Eravamo felici come solo i ragazzi sanno esserlo, o forse era solo perché allora era più facile essere felici rispetto ad oggi.
Ormai sono anni che quella casa è stata venduta ed è chiusa. Eppure tutte le volte che torno a Gressoney non posso fare a meno di andarla a vedere. Si cerca sempre di ritornare nei luoghi dove si è stati felici; anche quando si è coscienti che il passato non potrà ritornare. E’ una delle maledizioni di noi uomini.
Io non potrò mai fare grandi scalate o lunghi trekking, e non so nemmeno se riuscirò mai a realizzare il mio sogno di arrivare almeno alla Hochlicht (Alta Luce) o anche solo sotto la TestaGrigia. Purtroppo così è la mia vita, la vita di uno della seconda occasione. Alcune cose mi sono state ridate, altre tolte.
Ma in quella casa ho imparato ad amare la montagna, ad amarla come si amano le persone che ci sono più care. Sapendo di essere riamato così come sono, con i miei limiti e difetti.
In montagna non mi sono mai sentito inadeguato anche non potendo raggiungere una vetta. Ho imparato che conta molto di più come affronto il sentiero, piuttosto che arrivare in cima, e dove puoi solo scendere perché non puoi andare in nessun altro posto.
Ho un piccolo rito quando raggiungo una meta (un colle, un rifugio, una piccola cima): lascio una pietra che ho preso a valle. Perché anche io sono una pietra che è rotolata giù dalla vita.
E’ una delle tante cose che ho imparato in quella casa da ragazzo.
Grazie ad Adele abbiamo scoperto questa bella escursione, adatta a tutti, al lago di Antrona.
Si trova in Alta Valle Antrona ed è uno dei 4 laghi alpini della valle, utilizzati come bacini idroelettrici fin dagli anni 30 del 1900.
Essendo però l’alta valle un parco naturale l’ambiente è rimasto immutato e particolarmente suggestivo.
Una delle caratteristiche principali di questo lago è la cascata del torrente Sajont, molto suggestiva, che può essere ammirata da vicinissimo, praticamente da dietro, grazie alla passerella posta sul sentiero che permette di percorre l’intero perimetro del lago.
Alla fine della passeggia è possibile fermarsi per un delizioso spuntino al ristorante-bar La Pineta.
Un’escursione che ci è talmente piaciuta, così come tutta l’Alta Valle Antrona, che stiamo pensando di rifarci un giro quanto prima.
Dopo molta riflessione, e spinto anche dall’insistenza dell’amica @swamile, a proposito seguitela su IG https://www.instagram.com/swamilee_/ oppure su Twitter https://twitter.com/swamilee perché è veramente brava. Comunque, tornando ai miei affezionati 5 lettori, la notizie è che dopo Twitter il sottoscritto ha aperto un account anche su Instagram (IG).
Qui a lato ci sono i primi post con le prime foto e vediamo che succederà. Speriamo di saper gestire sti due social (già a volte facevo fatica con uno…). L’account su IG è sempre @mcsimoneweil https://www.instagram.com/mcsimoneweil/
Vabbè ragazzi, ci si becca su IG; capitasse mai non sapesse cosa fare.