La disavventura che è capitata ad un’amica che seguo su Twitter mi ha spinto a riflettere su alcuni aspetti della nostra presenza in rete.
Molti degli amici che conosco hanno un profilo social su uno o più social network. Anche io non mi sono sottratto a questa regola e dopo aver tergiversato parecchio ho aperto il profilo su Twitter.
Tutti comunque siamo accumunati dalla stessa cosa: abbiamo affidato molto della nostra identità digitale al profilo social. E quando parlo di identità digitale, parlo del nostro modo di rapportarsi e rappresentarsi rispetto agli altri; parlo dei nostri pensieri, delle nostre emozioni e sentimenti sempre più spesso espressi attraverso i nostri account social; affidiamo ai social anche i nostri hobby, le nostre passioni che spesso sono diventate anche il nostro lavoro. Perché è inutile che ce lo nascondiamo: ormai la nostra presenza in rete è parte di noi, del nostro modo di essere.
Poche sono le persone che resistono a questo richiamo di identità complementare. Così come poche (credo) siano le persone che curano la propria identità digitale, sapendo bene che essa non è affatto una cosa virtuale che non ha conseguenze sulla propria vita.
Mi è sempre piaciuto il paragone tra il nostro pezzetto di rete che abitiamo e un giardino. Tutti siamo affascinati da giardini ben curati, ricchi di fiori e piante diversi, dove passeggiare e rinfrancarci. Ma un giardino comporta lavoro, spesso fatica, in prima persona.
Affidare (e affidarsi) ad altri che si prendano cura del nostro giardino, dandogli il potere di scegliere quali e quanti fiori mettere, quali e quanti alberi piantare o togliere, non mi è mai parsa una grande idea.
Così come penso che affidare completamente i nostri pensieri, le nostre riflessioni, spesso le più profonde, ad una o l’altra piattaforma social non sia il massimo. Per questo ho sempre apprezzato i blog personali.
Perlomeno nei blog personali ho io il controllo dei contenuti, del mio giardino. Poi certo sono convinto che la presenza social oggi come oggi sia importante (chi non vorrebbe la maggiore condivisione possibile dei propri buoni pensieri). Ma questa presenza social dovrebbe essere come dire la vetrina che rimanda alla vera sostanza che c’è nel nostro blog.
Tutto questo comporta lavoro, fatica, studio, voglia di imparare, consapevolezza che “cultura digitale” non è solo la capacità di saper aprire un profilo social; ma tutto quello che sta dietro e alle conseguenze cui spesso non pensiamo, di quel semplice clic di approvazione dei termini di servizio.
Perché perdere il nostro profilo social (per colpa altrui o nostra non importa) non è facile da accettare. Specie se abbiamo affidato ad esso un pezzo della nostra vita (fatta anche di sentimenti, parole, foto, link) e lo abbiamo riempito con il nostro hobby o le nostre riflessioni.
Avere più controllo del nostro giardino spetta a noi.