Poi le stesse persone magari si lamentano della scarsa connessione e del digital divide di Moncalvo.
Certo che se si pensa di usare la rete solo per fare questi post su FB, probabilmente basta una vecchia connessione a 56Kb.
Quando poi ci passerà la sbornia ideologica, allora spero potremmo ragionare su questi ultimi anni. Su quello che è successo, sul come e sul perché.
Aveva ragione Faber quando cantava “anche se vi credete assolti siete lo stesso coinvolti”. E noi tutti, anche noi moncalvesi, siamo responsabili di questi giorni che stiamo vivendo.
Siamo responsabili di aver dato credito a quanti ci dicevano di non fidarci l’uno dell’altro. Siamo responsabili di aver messo alla base del nostro rapporto con gli altri il sospetto e il terrore di essere ingannati. Siamo responsabili di aver costruito non una comunità, ma una serie di gruppi autoreferenziali, in perenne tensione e competizione l’uno con l’altro.
E forse, cosa ancora più grave, abbiamo permesso che il nostro rapporto con gli altri si basasse sul potere; Simone Weil direbbe sulla Forza. Che è spesso la forza di una posizione di prestigio; altre volte è la forza morale o spirituale di una posizione o di una persona.
Abbiamo permesso che passasse l’idea di vedere l’altro non come un fratello, con cui condividere un pezzo di cammino, ma come una persona (nella migliore delle ipotesi) da correggere e inquadrare nel nostro schema mentale preconfezionato, o peggio, da assimilare nel nostro gruppo, come fanno i Borg di Star Trek.
Siamo spaventati dalla diversità perché la vediamo come una minaccia alla nostra vita, alla nostra visione del mondo. Perché ci siamo autoconvinti che la nostra visione è la sola giusta e tutte le altre sbagliate. Mentre è solo dalla diversità che può nascere la ricchezza dell’uomo, ed è proprio la diversità che preserva la nostra umanità.
Ci siamo costruiti una corazza, come gli angeli di Win Wenders, che ci fa vedere la realtà in bianco e nero invece che a colori. Ma noi siamo angeli con una sola ala, che non possono volare se non abbracciati ad altri. Non ci serve la corazza, ci servono mani per stringere ed abbracciare. E sorrisi per accogliere e ascoltare. E gambe per camminare insieme verso mete comuni.
In questi ultimi anni a Moncalvo e nel mondo sono accadute molte cose. Spesso siamo stati spettatori distratti ed indifferenti, pensando che quello che facevamo noi era comunque giusto.
Io non sono di questa opinione. E credo ci vorrà molto tempo per uscire dal tunnel nel quale ci siamo infilati. Ma si esce dalla caverna se si prende coscienza che le ombre che vediamo non sono la realtà. La realtà è fuori, è altrove.
Potremmo recuperare il nostro essere comunità, il nostro senso di società solo quando inizieremo a pensare come “noi” e non come “io e i miei”.
Quando inizieremo nuovamente a condividere, quando penseremo che nessun uomo è un isola, che nessuno può farcela da solo, allora saremo sulla strada giusta.
Questa che sta per finire è stata una settimana difficile sia in ufficio che nella vita. Dell’ufficio sorvolo per carità di patria. Per la vita invece voglio rendervi partecipi di una mia riflessione che ho fatto.
In pochi giorni sono mancati il papà di un mio carissimo amico e poi la mamma di altri due mie carissimi amici. Persone che mi conoscevano da quando ero un ragazzino. Insieme ai loro figli sono cresciuto e abbiamo sognato di poter cambiare se non il mondo, almeno il nostro paese e insieme le nostre vite.
Poi come sempre la vita ci ha separato e costretti a fare scelte differenti. Ma sempre siamo rimasti in contatto e non appena ci siamo ritrovato, vaffanculo le restrizioni: ci siamo abbracciati e stretti forte perché ci vogliamo bene; e il volersi bene vuol dire anche abbracciarsi e far sentire che ci sei, che sei lì con loro, fisicamente, a condividere il loro dolore.
E proprio in quei momenti ho pensato che fondamentalmente io sono una persona triste e pessimista. Triste e pessimista perché vivo perennemente diviso tra i ricordi del passato (quindi cose che non sono più e non possono più essere) e sogni nel futuro (quindi cose che non sono ancora e difficilmente saranno).
Una persona in perenne bilico tra questi due opposti non può che essere triste.
Tra poco si chiuderà il 72° Festival di Sanremo e ci dimenticheremo tutto, tranne le canzoni (spero). In questi giorni ha tenuto banco la polemica del “battesimo” di Achille Lauro.
Ora, lungi da me difendere Achille Lauro (che tra l’altro è uno che si difende benissimo da sé), però da credente non mi sono scandalizzato più di tanto.
E sinceramente penso che il Vescovo di Ventimiglia con la sua nota (diventata virale tra i cattolici benpensanti) ha perso un’occasione per restare zitto.
Molto più centrata la riflessione di Don Dino Pirri che giustamente ci interroga (e si interroga) su quanto noi stessi credenti bistrattiamo i sacramenti.
Ma la vera risposta forse è quella data dall’Osservatore Romano che vince a man bassa 6-0, 6-0