C’è abbastanza luce per chi crede, ma anche abbastanza buio per chi non crede
Archive for March, 2020
La Chiesa ai tempi tempi del Covid-19
La Parrocchia di Moncalvo e la sua comunità ai tempi del Covid-19
Come i miei affezionati 5 lettori sanno, il sottoscritto, trapiantato e immunodepresso è persona a rischio in questo periodo di quarantena. Ho lavorato in ufficio fino a fine febbraio, poi grazie alla grande professionalità dell’azienda dove lavoro (in particolare del mio capo) abbiamo attivato lo smart working.
Il problema che però si è presentato in questi giorni è la scorta dei farmaci immunosoppressori che devo assolutamente prendere per il trapianto. Sono medicinali che non si trovano in farmacia, né possono essere prescritti dal proprio medico di famiglia. Vengono consegnati direttamente dal centro trapianti. Ho telefonato in ospedale e l’infermiera mi ha detto: “scordati di venire in ospedale; tu sei a rischio; cerca di mandare qualcuno”. Già, mandare qualcuno. Ma chi? Katia? Poteva essere una soluzione, Lei è forte, non a rischio, però se va male è come se andassi io stesso; non è che non ci frequentiamo io e Katia….
Ci è venuto in mente il nostro parroco Don Giorgio. Sappiamo che lui adesso è costantemente in ospedale (è un ex infermiere), la chiesa e l’oratorio sono chiusi, ma lui ancora più di prima (è anche cappellano in ospedale) si prodiga per gli altri, gli ultimi, per chi ha bisogno.
E’ bastato un semplice messaggio ieri pomeriggio e oggi hanno suonato alla nostra porta; era Don Giorgio nella sua classica divisa d’ordinanza da “non prete” (con mascherina e guanti) con il pacco dei farmaci. Credo che manco se lo convocasse Papa Francesco si vestirebbe da prete 🙂 ) Un breve scambio di parole (a distanza), un saluto affettuoso fatto con gli occhi (come una carezza) e via: io in casa e lui verso il suo gregge, verso gli altri. Credo di non averlo mai sentito così vicino, così “mio parroco” come in questi momenti.
Ma oltre a Don Giorgio, vorrei ricordare qua l’amica Stefania con cui periodicamente ci sentiamo e che mi ha portato altri farmaci più comuni. La Rosetta e il Sandrino del negozio di alimentari di Moncalvo; oltre che prodigarsi a portare la spesa a casa per molti cittadini (io compreso) sono persone di una rara umanità e gentilezza. Il Fabio del negozio di verdura, la Susanna della farmacia, Anna Lettera che sta cucendo mascherine, la Scuola di Moncalvo e tutti gli insegnanti che si stanno impegnando per i nostri ragazzi, e potrei continuare…
Forse ci stiamo riscoprendo, pur tra mille difficoltà, una comunità unita e questo, una volta passata la tempesta, non dovremmo dimenticarlo.
La seconda settimana di smart working
Da lunedì 16 ho iniziato la seconda settimana di smart working. Inizio ad abituarmi all’idea di lavorare da casa per un periodo che sarà lungo. Leggendo in rete le esperienze di altre persone che fanno smart working ho cercato di copiarne i suggerimenti.
Il primo che ho messo in pratica è quello di cercare di avere una routine; nel mio caso svegliarmi come dovessi andare effettivamente in ufficio, quindi colazione e poi collegarmi e lavorare con l’orario effettivo dell’ufficio 8:00-12:30, pausa pranza, 13:30-17:00.
Il secondo suggerimento che ho messo in pratica, che può sembrare banale, è quello di vestirmi come dovessi effettivamente uscire; certo non ho messo “la vestimenta”, ma non sono rimasto in pigiama proprio per entrare in una ottica lavorativa.
Sono due piccoli accorgimenti che mi hanno aiutato a superare il primo momento di imbarazzo; quel momento in cui ti metti davanti al pc e pensi: “e adesso?”.
Una prima riflessione che voglio mettere qui, nero su bianco, è che non siamo ancora effettivamente pronti per lo smart working; sia dal punto di vista delle aziende, sia da quello dei lavoratori. E’ un modo di lavorare diverso, e questa sua diversità deve essere compresa e programmata. Non è pensabile fornire la tecnologia per lo smart working alle persone e poi trasferire semplicemente l’attuale modo di lavorare. Non può funzionare così. Il lavoro deve essere in qualche modo ripensato.
Penso alla prime telefonate o alle prime mail dei colleghi: ho chiesto al capo se potevo chiamarti/scriverti……. Ma se ho mandato una mail a tutti dicendo che da oggi lavoro da casa, mi potete contattare come sempre ……
Non siamo ancora pronti; però questo tempo “sospeso” che ci è dato può essere usato per studiare e progettare. E’ anche questa un’occasione. Cerchiamo di coglierla.
Moncalvo digitale al tempo del Covid-19
Questo è un periodo difficile, cerco di non pensare al fatto di essere soggetto a rischio e quindi provo a scrivere qui alcune riflessioni su questo #iostoacasa. Questa appena passata è stata la mia prima settimana di smart working. Ho la fortuna di fare un lavoro che posso fare anche da casa e ho sempre la fortuna di lavorare per una azienda dove il mio capo ufficio è persona preparata e lungimirante che per tempo mi ha messo nelle condizioni di svolgere il mio lavoro da casa. Certo prima erano momenti sporadici, quando c’era qualcosa di urgente; mai come ora, con una presenza costante tutto il giorno per 5 giorni; come in ufficio. Questo non vuol dire che tutte le aziende del Monferrato sono pronte; anzi, io sono un’eccezione e la situazione più comune in zona è quella di turnarsi o stare a casa con permessi/ferie.
Adele inizia a sperimentare didattica digitale. Anche qui ci sono luci ed ombre. Noi abbiamo il pc; ma sono tanti genitori dei compagni di classe di Adele ad avere solo cellulari, al massimo tablet. Ci si muove un po’ così, su un terreno sconosciuto perché finora non sembrava “utile” usare questi nuovi strumenti nella didattica; e invece ci stiamo rendendo conto che servono, eccome se servono.
Lo smart working è esperienza bella, un nuovo modo di lavorare e collaborare con i colleghi. Però deve essere possibile metterlo in pratica. Serve infrastruttura, in primis connessioni veloci (e possibilmente simmetriche) che solo la fibra può dare, inutile girarci intorno; il mito del “mobile first” come osservato giustamente da Massimo Mantellini ha prodotto enormi danni e ritardi sull’infrastruttura e sulla cultura digitale di questo paese. Idem per la didattica digitale. Come si può pensare di fare didattica digitale su di uno schermo da 6” con i giga che si consumano a vista d’occhio?
Non vi racconto le incazzature di questa settimana per la connessione lenta. Sulla carta la mia adsl è una fino a 20/1 mbps; mai andato oltre i 6/0,5 mbps. E badate che è lusso qui da me! E non venitemi a dire che si può tranquillamente navigare a 6 mbps!! Lo smart working non è navigare, serve banda anche in upload e vi voglio vedere a caricare documenti a 0,5 mbps! Non è più tempo (non lo è mi stato per la verità) di paragonare la rete alla televisione; dove c’è qualcuno (pochi) che hanno i contenuti e li mettono a disposizione di molti. La comunicazione in rete è bidirezionale e come tale non può che essere simmetrica. Immaginatevi un cellulare dove da una parte puoi parlare ma dall’altra solo premere i tasti Si, No.
E quindi è inutile che ci riempiamo la bocca di smart working, rete, cultura digitale, didattica online, se manca sia l’infrastruttura che la cultura. Bisogna studiare la cultura digitale e contemporaneamente investire nell’infrastruttura. E qui entrano in gioco la scuola e le amministrazioni locali. La prima ha l’arduo compito di formare le nuove generazioni e educarle alla cultura digitale sia utilizzando strumenti tradizionali sia le nuove possibilità offerte dalle nuove tecnologie. E non pensate che sia semplice! Le difficoltà, le diffidenze, le incomprensioni che ho sperimentato in questi giorni con Adele a casa da scuola sono indice di quanto la strada da percorrere sia lunga; ma come direbbe Steve Jobs: “il viaggio è il premio”. Si cerca di fare il possibile. Alcuni insegnanti sono più portati, altri meno. Ma occorre comprendere che non possiamo più chiudere gli occhi e che acquisire competenze di didattica digitale sarà indispensabile nel futuro.
E le amministrazioni locali? Qui è più ardua la questione. Certo non possono essere loro che fisicamente posano l’infrastruttura; però devono creare le condizioni perché ciò possa avvenire, fare rete con altre realtà del territorio per fare pressioni affinché anche nelle nostre aree arrivi finalmente la banda larga; promuovere le esperienze di cultura digitale tra i cittadini, divulgarle, incentivarle. Non pensare che basta avere il wi-fi per avere la banda larga; il 4G o il 5G. Serve fibra, e computer. Non pensare che tutto questo si riduca allo solita pagina facebook preparata per le elezioni e aggiornata quando capita. Lo ripeto: come la cultura digitale non è la sua infrastruttura, così la rete non è facebook.
Spero che questa esperienza ci faccia acquisire la consapevolezza che per Moncalvo e per il Monferrato, l’investire risorse ed energie nei prossimi anni sulla banda larga e la cultura digitale deve essere la priorità per lo sviluppo del nostro territorio. Senza questo saremo condannati ad un lento ed inesorabile declino e non ci sarà turismo, cibo, vino, cultura che tenga.
E permettetemi una nota personale: ci si può anche scontrare per visioni differenti su questi temi; sul percorso migliore da fare, ma alla lunga le persone in gamba si incontrano sempre.