Poi le stesse persone magari si lamentano della scarsa connessione e del digital divide di Moncalvo.
Certo che se si pensa di usare la rete solo per fare questi post su FB, probabilmente basta una vecchia connessione a 56Kb.
Da lunedì 16 ho iniziato la seconda settimana di smart working. Inizio ad abituarmi all’idea di lavorare da casa per un periodo che sarà lungo. Leggendo in rete le esperienze di altre persone che fanno smart working ho cercato di copiarne i suggerimenti.
Il primo che ho messo in pratica è quello di cercare di avere una routine; nel mio caso svegliarmi come dovessi andare effettivamente in ufficio, quindi colazione e poi collegarmi e lavorare con l’orario effettivo dell’ufficio 8:00-12:30, pausa pranza, 13:30-17:00.
Il secondo suggerimento che ho messo in pratica, che può sembrare banale, è quello di vestirmi come dovessi effettivamente uscire; certo non ho messo “la vestimenta”, ma non sono rimasto in pigiama proprio per entrare in una ottica lavorativa.
Sono due piccoli accorgimenti che mi hanno aiutato a superare il primo momento di imbarazzo; quel momento in cui ti metti davanti al pc e pensi: “e adesso?”.
Una prima riflessione che voglio mettere qui, nero su bianco, è che non siamo ancora effettivamente pronti per lo smart working; sia dal punto di vista delle aziende, sia da quello dei lavoratori. E’ un modo di lavorare diverso, e questa sua diversità deve essere compresa e programmata. Non è pensabile fornire la tecnologia per lo smart working alle persone e poi trasferire semplicemente l’attuale modo di lavorare. Non può funzionare così. Il lavoro deve essere in qualche modo ripensato.
Penso alla prime telefonate o alle prime mail dei colleghi: ho chiesto al capo se potevo chiamarti/scriverti……. Ma se ho mandato una mail a tutti dicendo che da oggi lavoro da casa, mi potete contattare come sempre ……
Non siamo ancora pronti; però questo tempo “sospeso” che ci è dato può essere usato per studiare e progettare. E’ anche questa un’occasione. Cerchiamo di coglierla.
Questo è un periodo difficile, cerco di non pensare al fatto di essere soggetto a rischio e quindi provo a scrivere qui alcune riflessioni su questo #iostoacasa. Questa appena passata è stata la mia prima settimana di smart working. Ho la fortuna di fare un lavoro che posso fare anche da casa e ho sempre la fortuna di lavorare per una azienda dove il mio capo ufficio è persona preparata e lungimirante che per tempo mi ha messo nelle condizioni di svolgere il mio lavoro da casa. Certo prima erano momenti sporadici, quando c’era qualcosa di urgente; mai come ora, con una presenza costante tutto il giorno per 5 giorni; come in ufficio. Questo non vuol dire che tutte le aziende del Monferrato sono pronte; anzi, io sono un’eccezione e la situazione più comune in zona è quella di turnarsi o stare a casa con permessi/ferie.
Adele inizia a sperimentare didattica digitale. Anche qui ci sono luci ed ombre. Noi abbiamo il pc; ma sono tanti genitori dei compagni di classe di Adele ad avere solo cellulari, al massimo tablet. Ci si muove un po’ così, su un terreno sconosciuto perché finora non sembrava “utile” usare questi nuovi strumenti nella didattica; e invece ci stiamo rendendo conto che servono, eccome se servono.
Lo smart working è esperienza bella, un nuovo modo di lavorare e collaborare con i colleghi. Però deve essere possibile metterlo in pratica. Serve infrastruttura, in primis connessioni veloci (e possibilmente simmetriche) che solo la fibra può dare, inutile girarci intorno; il mito del “mobile first” come osservato giustamente da Massimo Mantellini ha prodotto enormi danni e ritardi sull’infrastruttura e sulla cultura digitale di questo paese. Idem per la didattica digitale. Come si può pensare di fare didattica digitale su di uno schermo da 6” con i giga che si consumano a vista d’occhio?
Non vi racconto le incazzature di questa settimana per la connessione lenta. Sulla carta la mia adsl è una fino a 20/1 mbps; mai andato oltre i 6/0,5 mbps. E badate che è lusso qui da me! E non venitemi a dire che si può tranquillamente navigare a 6 mbps!! Lo smart working non è navigare, serve banda anche in upload e vi voglio vedere a caricare documenti a 0,5 mbps! Non è più tempo (non lo è mi stato per la verità) di paragonare la rete alla televisione; dove c’è qualcuno (pochi) che hanno i contenuti e li mettono a disposizione di molti. La comunicazione in rete è bidirezionale e come tale non può che essere simmetrica. Immaginatevi un cellulare dove da una parte puoi parlare ma dall’altra solo premere i tasti Si, No.
E quindi è inutile che ci riempiamo la bocca di smart working, rete, cultura digitale, didattica online, se manca sia l’infrastruttura che la cultura. Bisogna studiare la cultura digitale e contemporaneamente investire nell’infrastruttura. E qui entrano in gioco la scuola e le amministrazioni locali. La prima ha l’arduo compito di formare le nuove generazioni e educarle alla cultura digitale sia utilizzando strumenti tradizionali sia le nuove possibilità offerte dalle nuove tecnologie. E non pensate che sia semplice! Le difficoltà, le diffidenze, le incomprensioni che ho sperimentato in questi giorni con Adele a casa da scuola sono indice di quanto la strada da percorrere sia lunga; ma come direbbe Steve Jobs: “il viaggio è il premio”. Si cerca di fare il possibile. Alcuni insegnanti sono più portati, altri meno. Ma occorre comprendere che non possiamo più chiudere gli occhi e che acquisire competenze di didattica digitale sarà indispensabile nel futuro.
E le amministrazioni locali? Qui è più ardua la questione. Certo non possono essere loro che fisicamente posano l’infrastruttura; però devono creare le condizioni perché ciò possa avvenire, fare rete con altre realtà del territorio per fare pressioni affinché anche nelle nostre aree arrivi finalmente la banda larga; promuovere le esperienze di cultura digitale tra i cittadini, divulgarle, incentivarle. Non pensare che basta avere il wi-fi per avere la banda larga; il 4G o il 5G. Serve fibra, e computer. Non pensare che tutto questo si riduca allo solita pagina facebook preparata per le elezioni e aggiornata quando capita. Lo ripeto: come la cultura digitale non è la sua infrastruttura, così la rete non è facebook.
Spero che questa esperienza ci faccia acquisire la consapevolezza che per Moncalvo e per il Monferrato, l’investire risorse ed energie nei prossimi anni sulla banda larga e la cultura digitale deve essere la priorità per lo sviluppo del nostro territorio. Senza questo saremo condannati ad un lento ed inesorabile declino e non ci sarà turismo, cibo, vino, cultura che tenga.
E permettetemi una nota personale: ci si può anche scontrare per visioni differenti su questi temi; sul percorso migliore da fare, ma alla lunga le persone in gamba si incontrano sempre.
La migliore descrizione della messa laica di Apple è in questo articolo di Mantellini.
E c’è da riflettere sul fatto che Apple sia diventata quello che è. Se, come Mantellini, possiamo accostare Apple e i suoi prodotti tecnologici alle arti liberali senza cadere nel ridicolo; è perché davvero questa azienda si è posizionata all’incrocio tra la tecnologia e “le arti” come del resto auspicava Jobs. Io credo che il futuro sarà caratterizzato dalla capacità di trovare questa sintesi.
Mai come oggi abbiamo bisogno di un umanesimo tecnologico.
A Como, uno sparuto gruppo di persone illuminate, tra le quali il buon Gaspart, ha fondato l’associazione Alfabeto Digitale. Dove non ci arrivano le istituzioni o la scuola, ecco che cittadini consapevoli della rivoluzione digitale e di quanto sia importante, si organizzano per divulgare la cultura della rete, per superare il gap che ci rende il paese più arretrato rispetto agli altri.
I ragazzi finalmente protagonisti della rete e non solo fruitori passivi.
E a Moncalvo cosa aspettiamo?
Se dopo lo scandalo degli account trafugati di Yahoo e delle mail intercettate, siete alla ricerca di una casella mail sicura, facile da usare, che protegga la vostra privacy; allora ProtonMail può essere la giusta soluzione.
La nostra sicurezza in internet è legata anche a quanto sono robuste le password che usiamo per accedere ai numerosi servizi online che utilizziamo giornalmente. Non parliamo solo dei nostri account per l’homebanking, ma anche di Facebook, posta elettronica, account su Amazon o Dropbox, Gmail o idApple. Siamo dipendenti dalle password e dai codici pin e alzi la mano chi di noi non ha mai pensato di utilizzare la stessa password/pin per accedere a più servizi.
Utilizzare la stessa password è certamente sbagliato per ovvie ragioni, è bene avere password distinte per ogni nostro account. Purtroppo è abbastanza comune utilizzare almeno una decina di servizi online e pertanto tenere a mente tutte queste password inizia ad essere complicato. Le difficoltà aumentano in maniera esponenziale se, come ci insegnano gli esperti di sicurezza, iniziamo ad usare password lunghe almeno 8-10 caratteri contenenti lettere maiuscole, minuscole, numeri e simboli in sequenza causale. Per fare un esempio:
maurizio01 è una password lunga 10 caratteri contenente anche numeri ma certamente non è sicura in quanto è facilmente “craccabile” con un attacco brute force a dizionario
Sk;8jU%iw5 è una password lunga 10 caratteri che risponde pienamente alle indicazioni degli esperti di sicurezza e pertanto risulta più difficile da craccare anche con un attacco brute force
Purtroppo per la maggior parte delle persone è certamente difficile ricordarsi a memoria la seconda, e anche ammettendo che ci riusciate, diventa quasi impossibile memorizzare una decina di password costruite con questi criteri.
Per questi motivi sono nati i password manager, speciali programmi che permettono di generare password con i criteri sopra esposti e di memorizzarle in un database criptato. In questo modo basta solo ricordarsi la password per accedere al db e si avrà accesso a tutte le altre per poterle utilizzare.
Tra i molti password manager esistenti c’è Clipperz che ha alcune particolarità. Anzitutto è un progetto italiano del quale avevamo già parlato qui; è completamente open source, è un password manager online, cioè il “portachiavi dove ci sono le password” è memorizzato criptato nei server di Clipperz ed è accessibile pertanto da qualunque parte del mondo e da qualsiasi pc/tablet/telefono. E’ possibile accedere alle proprie password sia con le proprie credenziali sia anche utilizzando una one-time password per aumentare la sicurezza quando accediamo da postazioni pubbliche.
Ovviamente Clipperz non serve solo per le password, ma è possibile memorizzare anche numeri di carta di credito, credenziali per l’homebanking, documenti, certificati digitali, insomma tutto quanto è necessario tenere in un luogo sicuro e che sia accessibile sempre quando ne abbiamo bisogno. Inoltre è possibile utilizzare il generatore di password per creare password veramente complesse e lunghe difficilmente craccabili.
A molti può fare storcere il naso il fatto che le informazioni più importanti per la nostra sicurezza digitale non sono salvate sul nostro pc e sono nei server di altri in Islanda. Giulio Solaroli e Marco Barulli, i creatori di Clipperz, sono categorici: solo chi ha le credenziali ha accesso al file criptato dove sono salvate le password e tutto il resto; chi si dimentica queste credenziali non ha possibilità di recuperare nulla.
L’accesso al sito di Clipperz e tutta la comunicazione con noi viene criptata e protetta ed è possibile bloccare la sessione dopo x minuti in modo che sia necessario ritrasmettere le credenziali per accedere nuovamente. E se questo non vi convince è sempre possibile scaricare una copia criptata del database delle password in modo da averlo sempre sul proprio pc. Insomma la sicurezza delle nostre informazioni è la priorità per Clipperz.
Se siate alla ricerca di un password manager facile da usare, sicuro, con generatore di password, disponibile online e offline, open source, per giunta progettato da bravissimi informatici italiani, allora Clipperz fa al caso vostro. Io lo sto provando da alcuni giorni e deve dire che ha tutte le carte in regola per diventare una killer app!