Riprendendo e parafrasando una vecchia battuta che circola online, “e anche quest’anno la Fiera del Tartufo ce la siamo levata dai coglioni”.
Ecco, non so voi come avete vissuto questa 68° edizione; a me è sembrato che ormai questo format mostri palesemente la corda; come mi ha confermato un caro amico.
Certo i numeri sono stati impressionanti; aspettiamo i dati ufficiali, ma certamente l’afflusso di turisti e visitatori durante i due week end della fiera è stato veramente grande.
Però penso che i numeri non siano tutto e come avevo cercato di dire lo scorso anno in questo post, una qualche forma di rinnovamento è sempre più urgente.
Non starò a citare nuovamente la gestione “allegra e inconcludente” della presenza in rete della Fiera. Non serve a nulla avere sito web e profili social Instagram e Facebook se non sono costantemente seguiti e aggiornati e non raccontano l’evento.
Girando per la fiera invece ho avuto la fortuna di ascoltare storie che davvero meriterebbero di essere raccontate durante l’evento; perché il territorio non sono solo le colline. Il territorio lo fanno le persone con le loro vite e le loro scelte, ed un evento che si vanta (a livello nazionale) di raccontare il territorio del Monferrato non lo può farlo solo fornendo stand e intervistando in maniera pelosa il politico di turno.
Penso alle storie dell’Azienda Agricola Olivetta con la sua sperimentazione dei vini bianchi e rossi, oppure dell’Azienda Agricola Garino con i suoi vini biologici (e le donne protagoniste), o ancora dell’Azienda La Collina degli Ameri e la loro passione per la Bagnacauda.
Ma alla fiera ci sono decine di altre storie, tutte da raccontare, tutte da valorizzare. E sarebbe il caso che già adesso, i responsabili della fiera, iniziassero a pensare come farlo.
Cambiare non è segno di paura, anzi, è la capacità di adattarsi al cambiamento, sapendo trasmettere (uso una parola grossa) valori che non mutano, ma che vanno adeguati ai tempi. Penso, forse non a caso, a due grandissimi uomini di cultura del nostro territorio e precisamente a Cesare Pavese e Nuto Revelli.
Dobbiamo cambiare, non fosse altro per la storia della nostra Fiera del tartufo e per le persone che l’hanno fatta diventare così importante. Lo dobbiamo anche a loro.