Il post che il bravissimo Aubrey ha scritto sul suo blog mi ha colpito allo stomaco con la forza di una palla sparata da un cannone. Quante volte io o i miei amici ci siamo lodati per aver fatto quel poco di volontariato (facile) nell’oratorio della nostra parrocchia o in qualche associazione della nostra città. Io, salvo per esperienza personale con la mia malattia, non ho incontrato contraddizioni così forti come quelle vissute da Aubrey in Romania.
Ci sono esperienze che ti cambiano profondamente, ti lavorano nel profondo senza che tu te ne accorga se non a distanza di anni. Per alcuni sono lo scontrarsi con la tragica realtà del dolore senza ragione, della violenza dell’uomo sull’uomo senza motivo, del capire che molte volte la frase “il dolore fortifica e ci fa crescere come persone” è una cazzata; al contrario molti nel dolore si abbruttiscono ed emerge il lato più oscuro dell’uomo. Per altri l’esperienza che cambia la vita, o almeno la visione che hanno della vita, può essere un viaggio o l’incontro con altre persone.
Io non credo che tutta questa sofferenza, questo male di vivere, queste cose che non vanno, queste contraddizioni come le chiama Aubrey, vadano perdute e siano prive di significato. Già solo il fatto che lo hanno spinto a distanza di anni a scriverne sul blog è segno che non sono state perse. Un vecchio detto dei padri del deserto dice: “Non avventarti contro le tenebre, preoccupati di tenere accesa la tua lampada”. Non spetta a noi salvare il mondo, dare una risposta a tutto, preoccuparci di aiutare tutti. Sentire il dolore del mondo, il dolore degli uomini quello sì, farlo proprio, provare compassione, fare quanto è in nostro potere per alleviarlo e limitarlo, coscienti del fatto che sarà solo una goccia, illumineremo solo una piccolissima parte delle tenebre.
Post come quello di Aubrey sono come la frase di John Donne citata da Ernest Hemingway: ci ricordano che tutti noi partecipiamo dell’umanità.
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