Innovare per se o innovare anche per gli altri?

Leggo su una nota pagina facebook moncalvese di un commerciante che pubblica un video dove comunica a tutti che chiuderà il negozio perché non si sente di passare al nuovo registratore di cassa telematico.

E’ vero che pubblicare video e gestire pagine facebook non significa saper usare le nuove tecnologie e le opportunità offerte. Però a me pare una contraddizione.

E la contraddizione non è tanto nel rifiutare il nuovo registratore di cassa ma gestire una pagina facebook; il paradosso è proprio nell’incapacità di spiegare, di fare cultura dell’innovazione.

E se questo è un difetto che accomuna una grande fetta della società italiana, qui da noi, in Monferrato, è ancora più evidente. E badate che non si tratta poi tanto di una cattiva volontà di imparare da parte delle persone. Manca proprio la capacità di educare alle nuove tecnologie, alle opportunità che offrono. Qui da noi mancano gli insegnanti, le persone che spiegano come e perché innovare, quelle persone che con esempi pratici ti spiegano perché pensare in digitale è pensare il futuro; è guardare avanti senza nostalgia di un passato che non sarà più (volenti o nolenti) quello di prima.

Non serve a nulla innovare solo per se stessi, per il proprio privato. Porterà all’inizio benefici di mera soddisfazione personale, che però non aiuteranno altri, non spingeranno altri a seguire quella strada.

Finché questo paese continuerà a pensare analogico in pubblico, ma digitale in privato non ci sarà mai innovazione. Saremo sempre come i mie colleghi d’ufficio: ingegneri informatici per quanto riguarda la gestione dei propri gingilli elettronici personali (smartphone, pc, netflix, social, foto, ecc), ma assolutamente degli incapaci nel momento in cui si tratta di usare queste competenze nel lavoro o nella vita pubblica.

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