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Pensieri disordinati su questi ultimi anni

Saturday, February 26th, 2022

Quando poi ci passerà la sbornia ideologica, allora spero potremmo ragionare su questi ultimi anni. Su quello che è successo, sul come e sul perché.

Aveva ragione Faber quando cantava “anche se vi credete assolti siete lo stesso coinvolti”. E noi tutti, anche noi moncalvesi, siamo responsabili di questi giorni che stiamo vivendo.

Siamo responsabili di aver dato credito a quanti ci dicevano di non fidarci l’uno dell’altro. Siamo responsabili di aver messo alla base del nostro rapporto con gli altri il sospetto e il terrore di essere ingannati. Siamo responsabili di aver costruito non una comunità, ma una serie di gruppi autoreferenziali, in perenne tensione e competizione l’uno con l’altro.

E forse, cosa ancora più grave, abbiamo permesso che il nostro rapporto con gli altri si basasse sul potere; Simone Weil direbbe sulla Forza. Che è spesso la forza di una posizione di prestigio; altre volte è la forza morale o spirituale di una posizione o di una persona.

Abbiamo permesso che passasse l’idea di vedere l’altro non come un fratello, con cui condividere un pezzo di cammino, ma come una persona (nella migliore delle ipotesi) da correggere e inquadrare nel nostro schema mentale preconfezionato, o peggio, da assimilare nel nostro gruppo, come fanno i Borg di Star Trek.

Siamo spaventati dalla diversità perché la vediamo come una minaccia alla nostra vita, alla nostra visione del mondo. Perché ci siamo autoconvinti che la nostra visione è la sola giusta e tutte le altre sbagliate. Mentre è solo dalla diversità che può nascere la ricchezza dell’uomo, ed è proprio la diversità che preserva la nostra umanità.

Ci siamo costruiti una corazza, come gli angeli di Win Wenders, che ci fa vedere la realtà in bianco e nero invece che a colori. Ma noi siamo angeli con una sola ala, che non possono volare se non abbracciati ad altri. Non ci serve la corazza, ci servono mani per stringere ed abbracciare. E sorrisi per accogliere e ascoltare. E gambe per camminare insieme verso mete comuni.

In questi ultimi anni a Moncalvo e nel mondo sono accadute molte cose. Spesso siamo stati spettatori distratti ed indifferenti, pensando che quello che facevamo noi era comunque giusto.

Io non sono di questa opinione. E credo ci vorrà molto tempo per uscire dal tunnel nel quale ci siamo infilati. Ma si esce dalla caverna se si prende coscienza che le ombre che vediamo non sono la realtà. La realtà è fuori, è altrove.

Potremmo recuperare il nostro essere comunità, il nostro senso di società solo quando inizieremo a pensare come “noi” e non come “io e i miei”.

Quando inizieremo nuovamente a condividere, quando penseremo che nessun uomo è un isola, che nessuno può farcela da solo, allora saremo sulla strada giusta.

Troppi ma anche in noi stessi

Wednesday, January 12th, 2022

Questo post di Mantellini è da leggere con attenzione e senza pregiudizi, perchè molte volte noi stessi siamo preda di questi ma. Siamo spesso in cerca di certezze assolute, di occhiali per vedere la realtà in modo netto e senza filtri. E tutto questo ci porta a polarizzare le nostre posizioni e vedere solo bianco o nero.

Invece dovremmo essere più duttili, più disposti a vedere la complessità e ad analizzarla. Più disposti a sperimentare soluzioni innovative, più favorevoli a testare esperienze di sintesi tra tecnologia e tradizione.

Iniziamo insieme questo 2022

Tuesday, January 4th, 2022

Quest’anno sono in grande ritardo. Poco tempo e scarsa ispirazione per scrivere qualcosa di decente.

Un 2021 terminato come era iniziato: senza particolari momenti da ricordare. Un 2022 che inizia ancora sotto il segno di questa pandemia che se all’inizio sembrava dover tirare fuori il meglio di noi, adesso, spesso, tira fuori solo la parte peggiore.

Credo che sarà un anno di transizione per me. Lavorativa e di vita. Non mi aspetto nulla, anzi; la mia natura pessimista mi fa’ sempre aspettare il peggio.

Sarà un anno di anniversari e di bilanci. Spero che le persone alle quali voglio bene (e che hanno fatto la pazzia di legare la loro vita alla mia) siano felici e che per loro sia l’anno dei loro sogni.

Quest’anno mi piacerebbe vincere qualche mia paura e lasciarmi andare, nella vita ma anche qui, sul blog o su Twitter. Seguire finalmente il cuore. E smettere di pensare sempre alle conseguenze, ai come, ai perché, e questo e quello. Vivere e amare.

Un anno finalmente a colori.

Lo auguro a tutti.

Qualità della vita 2021: Asti e Alessandria il rimbalzo del gatto morto

Tuesday, December 14th, 2021

E’ stata pubblicata da IlSole24ore la nuova classifica delle provincie italiane dove si vive meglio anno 2021.

Asti è al 65° posto e guadagna 5 posizioni rispetto allo scorso anno. Alessandria al 70° posto, anche qui con un guadagno di 5 posizioni rispetto allo scorso anno.

Io non credo troppo nell’inversione di tendenza, anzi, propendo per il rimbalzo del gatto morto.

Consiglio di andarsi a vedere gli indicatori per farsi un’idea di quanto la strada sia ancora lunga ed in salita.

Qualità vita 2021 Provincia di Asti
Qualità vita 2021 Provincia Alessandria

Il nostro profilo social

Monday, December 6th, 2021

La disavventura che è capitata ad un’amica che seguo su Twitter mi ha spinto a riflettere su alcuni aspetti della nostra presenza in rete.

Molti degli amici che conosco hanno un profilo social su uno o più social network. Anche io non mi sono sottratto a questa regola e dopo aver tergiversato parecchio ho aperto il profilo su Twitter.

Tutti comunque siamo accumunati dalla stessa cosa: abbiamo affidato molto della nostra identità digitale al profilo social. E quando parlo di identità digitale, parlo del nostro modo di rapportarsi e rappresentarsi rispetto agli altri; parlo dei nostri pensieri, delle nostre emozioni e sentimenti sempre più spesso espressi attraverso i nostri account social; affidiamo ai social anche i nostri hobby, le nostre passioni che spesso sono diventate anche il nostro lavoro. Perché è inutile che ce lo nascondiamo: ormai la nostra presenza in rete è parte di noi, del nostro modo di essere.

Poche sono le persone che resistono a questo richiamo di identità complementare. Così come poche (credo) siano le persone che curano la propria identità digitale, sapendo bene che essa non è affatto una cosa virtuale che non ha conseguenze sulla propria vita.

Mi è sempre piaciuto il paragone tra il nostro pezzetto di rete che abitiamo e un giardino. Tutti siamo affascinati da giardini ben curati, ricchi di fiori e piante diversi, dove passeggiare e rinfrancarci. Ma un giardino comporta lavoro, spesso fatica, in prima persona.

Affidare (e affidarsi) ad altri che si prendano cura del nostro giardino, dandogli il potere di scegliere quali e quanti fiori mettere, quali e quanti alberi piantare o togliere, non mi è mai parsa una grande idea.

Così come penso che affidare completamente i nostri pensieri, le nostre riflessioni, spesso le più profonde, ad una o l’altra piattaforma social non sia il massimo. Per questo ho sempre apprezzato i blog personali.

Perlomeno nei blog personali ho io il controllo dei contenuti, del mio giardino. Poi certo sono convinto che la presenza social oggi come oggi sia importante (chi non vorrebbe la maggiore condivisione possibile dei propri buoni pensieri). Ma questa presenza social dovrebbe essere come dire la vetrina che rimanda alla vera sostanza che c’è nel nostro blog.

Tutto questo comporta lavoro, fatica, studio, voglia di imparare, consapevolezza che “cultura digitale” non è solo la capacità di saper aprire un profilo social; ma tutto quello che sta dietro e alle conseguenze cui spesso non pensiamo, di quel semplice clic di approvazione dei termini di servizio.

Perché perdere il nostro profilo social (per colpa altrui o nostra non importa) non è facile da accettare. Specie se abbiamo affidato ad esso un pezzo della nostra vita (fatta anche di sentimenti, parole, foto, link) e lo abbiamo riempito con il nostro hobby o le nostre riflessioni.

Avere più controllo del nostro giardino spetta a noi.

Il mio “peggior” difetto

Friday, November 12th, 2021

Ieri sera, dopo parecchio tempo, con un caro amico abbiamo provato a rivederci per parlare un po’. La serata non è andata come previsto per problemi per così dire logistici: nessun bar era aperto. E quindi abbiamo rimediato con la buona e vecchia passeggiata in piazza.

Non abbiamo parlato moltissimo e ci siamo ripromessi di ritentare per la prossima settimana (bar permettendo); ma qualcosa ci siamo comunque detti ed è stato come ritornare ai bei tempi della nostra gioventù.

Tra i pensieri che ci siamo scambiati, uno in particolare mi ha colpito, quando abbiamo parlato della mia intransigenza intellettuale e del mio non risparmiare critiche e/o osservazioni, indipendentemente dall’interlocutore.

E’ vero: sono una persona che cerca di analizzare e capire le cose anzitutto con la proprio testa e che non si accontenta delle spiegazioni pronte e servite da altri. So che alcuni patiscono questo e mi dispiace.

Sono però altresì convinto che solo una buona dialettica (con persone disposte a rinunciare alla loro “certa” verità) possa permette un vero incontro con l’altro; e raggiungere se non la Verità Assoluta, perlomeno una idea condivisa di verità. Per poi ritrovarci fratelli e uomini, partecipi dell’umanità tutta.

Per me, iniziare un rapporto con una persona, significa ascoltarla e parlarci insieme. Scambiarci idee e pensieri, senza pregiudizi o a-priori. Sono però altresì ragionevolmente sicuro di alcuni pensieri e idee coltivate negli anni. Disposto anche a metterle in discussione. Però dall’altra parte ci deve essere lo sforzo di capirle e la capacità dialettica di farmi vedere i punti deboli o gli errori. Non mi basta sentirmi dire “è così e basta”.

Come Simone Weil (che mi perdoni per il paragone) sono una persona con una nostalgia infinita per la socialità, per l’amicizia. Ma al contempo che taglia via senza pietà ciò che nel rapporto con gli altri è illusione e/o forza.

Si, il mio peggior “difetto” è il pensare con la mia testa.

Ripensare la Fiera del Tartufo di Moncalvo

Sunday, October 31st, 2021

Anche quest’anno si è conclusa la 67ma edizione della Fiera del Tartufo di Moncalvo. Grande affluenza di pubblico nelle due giornate nonostante la seconda domenica il meteo non abbia aiutato.

Naturalmente soddisfatti gli organizzatori, contenti i nostri concittadini commercianti e ristoratori per l’affluenza, insomma tutti felici. Con ragione eh! Sia chiaro. Visto la situazione pandemica e le normative da rispettare, aver realizzato la fiera è già portare a casa il risultato.

Ma io, che mi sono sempre trovato a mio agio con le minoranze (quelle sensate ovviamente), credo sia arrivato il momento di fermarci a riflettere, serenamente e senza pregiudizi sulla nostra fiera.

Ho già scritto in un post precedente, delle non novità di questa edizione. Sono anni (almeno dieci) che non ci sono sostanziali differenze tra un’edizione e l’altra nel programma e nell’organizzazione della fiera.

Faccio qualche esempio: il sito internet della fiera è identico da anni. Viene semplicemente aggiornato il numero dell’edizione ed il programma. Tant’è che se si va a vedere più nel dettaglio si scopre che sono ancora citate manifestazioni non più fatte da anni.

Beh, direte voi, c’è la pagina Facebook o la pagina Instagram. Per quanto riguarda quest’ultimo non parlo per carità di patria. Pubblicare semplici foto e basta, spesso il giorno dopo e comunque non “in diretta”, non raccontando la fiera come invece imporrebbe un social (sennò che social è?) non mi sembra fare chissà che cosa. E per quanto riguarda la pagina Facebook anche qui nulla di chè. Anzi, a me questo continuo pubblicare meme con argomento il tartufo, ha anche un po’ stufato.

Il programma della fiera identico ormai da anni, nessuna nuova idea che provi a raccontare il territorio, il tartufo, la città di Moncalvo, la civiltà contadina in modo diverso dalla semplice promozione enogastronomica. Qualche laboratorio del gusto? Qualche dibattito serio e non le pelose e meste interviste del presentatore di turno?

La presenza femminile alla fiera? Ne vogliamo parlare? La donna come immagine da affiancare al tartufo? Non sarebbe il caso di andare (finalmente) un po’ oltre questo stereotipo anni 80?

E i cuochi, i contadini, i vignaioli? Mai coinvolti, mai sentiti alla fiera. Nulla di pensato per raccontare le loro storie, i loro saperi. Solo stand dove vendere prodotti e ristoranti da riempire di turisti e basta.

I giovani e la giuria. I primi pochissimo coinvolti, mentre la seconda è ormai un gruppo autoreferenziale chiamato due volte l’anno a giudicare e basta.

E come giustamente mi ha fatto osservare un ex amministratore moncalvese: mentre nell’albese c’è un’unica fiera e tutti si mobilitano per promuoverla ed arricchirla, da noi in Monferrato e nell’Astigiano si moltiplicano le manifestazioni e le fiere del tartufo, in concorrenza una con l’altra. Questo non è fare squadra, è massacrarsi a vicenda. Con buona pace del Sindaco di Asti o di altri che parlano di tour delle fiere e compagnia bella.

Credo che proprio per la sua storia e per quello che rappresenta la nostra fiera, un ragionare ed un interrogarsi sul suo futuro sia doveroso da parte di tutti noi moncalvesi.

Ce le meritiamo altre 67 edizioni di fiera, ma rinnovata.

L’informazione in Italia e il proprio giardino internet

Saturday, March 13th, 2021

Alcune considerazioni sullo stato dell’informazione in Italia in questo articolo di Massimo Mantellini (che aveva già scritto cose interessanti in questo post).

Il paragone tra il proprio giardino e la propria presenza in rete (che è quanto di più azzeccato io abbia letto ed ascoltato in tanti anni che frequento la rete) non è nuovo, infatti mi ricordavo di averlo già citato in questo post.

Guardando al (piccolo) panorama della rete monferrina e moncalvese si rimane abbastanza scoraggiati dalle erbacce e cicche presenti.

Frasi di Simone Weil

Saturday, February 27th, 2021

Gli amici della Parrocchia di Moncalvo hanno scritto un post citando alcune delle più belle (ed importanti) frasi di SimoneWeil. La cosa ovviamente mi rende felice.

Grazie

Eccidio Banda Tom: la necessità della memoria

Monday, January 25th, 2021

Ho già scritto della Banda Tom sul blog e su Twitter. E proprio sabato 15 c’è stato il 76° anniversario dell’eccidio e la commemorazione ufficiale alla cittadella di Casale Monferrato.

Una commemorazione che ha suscitato molte polemiche a causa delle sciagurate frasi pronunciate dal sindaco di Casale Monferrato.

Segnalo tra le tante reazioni di giusta protesta civile volte a ristabilire la verità dei ragazzi della Banda Tom trucidati dai nazifascisti casalesi, quella del caro amico Diego Musumeci (consigliere comunale di Moncalvo ed insegnante) che ha scritto sulla propria pagina Facebook:

“…i ragazzi della banda Tom combattevano contro il nemico che veniva dal Nord …”. Ehhh no, Sindaco di Casale: vennero trucidati dai FASCISTI casalesi!!! Tom e altri ragazzi scelsero coraggiosamente la lotta partigiana per opporsi al regime fascista e dal 1943 la banda fu attiva nel casalese e nell’astigiano. La banda Tom fu catturata a Casorzo, imprigionata, torturata, umiliata nel freddo inverno del 1945 e, infine, uccisa il 15 gennaio da un plotone composto da molti fascisti casalesi. Tom e gli altri ragazzi combattevano contro i fascisti e furono uccisi da italiani come loro che avevano, però, fatto un’altra scelta di campo. La storia non si cambia. Nessuna ideologia politica odierna può permettersi di rivedere i fatti e gli avvenimenti storici a suo uso e consumo contro ogni evidenza storiografica e documentale. La pacificazione è un atto dovuto ma solo nel rispetto della verità e dei reciproci ruoli. Bisogna imparare ad accettare che il male non arriva solo da fuori e che la grandezza di un popolo, o di una nazione, non si misura sulle sue macchie e sulle sue colpe ma, bensì, sulla loro accettazione e sui modi di fare ammenda.”

Segnalo anche il video pubblicato dall’attore Mario Saldi, esponente di Casale Bene Comune

https://www.facebook.com/1569882978/videos/10221795343664025/

Tra pochi giorni celebreremo il Giorno della Memoria. E ne abbiamo più che mai bisogno.

L’indifferenza è più colpevole della violenza stessa. È l’apatia morale di chi si volta dall’altra parte: succede anche oggi verso il razzismo e altri orrori del mondo. La memoria vale proprio come vaccino contro l’indifferenza.
Liliana Segre